"Volti del sacro, ritorno all'umano"

Sotto lo storico monastero dei benedettini, a Cassino, presto sarà inaugurata una statua di San Benedetto. Un avvenimento importante: celebra il quarantennale della sua proclamazione a patrono d'Europa. Ma soprattutto segna una novità nel panorama dell'arte sacra in Italia.

Dopo tante statue che, per segnalare la loro modernità, presentavano un'immagine semplificata, talvolta fino alla rozzezza, del soggetto sacro, qui vediamo finalmente una statua bella, eseguita con grande perizia tecnica, ben rifinita, più vicina a Bernini che a Giacometti, in cui il soggetto, lungi dal venire semplificato e "pauperizzato", è vestito del sontuoso manto da abate e brandisce un ricco bastone pastorale.
Come se non bastasse, col dito indica la strada, assumendo quindi pienamentela funzione di guida spirituale dell'umanità verso il Dio cristiano.

A qualcuno, distratto, potrebbe sembrare una copia dell'antico, ma la nervosa inquietudine che pervade il santo, pur nella posa e nell'abito solenni, ne rivela la modernità.
Lo scultore Giuseppe Ducrot è, infatti, perfettamente consapevole della sua scelta antimoderna. Le sue opere in "stile antico" sono una risposta critica e provocatoria alla semplificazione astratta e spesso incomprensibile a cui di frequente l'arte sacra si riduce. Una semplificazione che arriva alla cancellazione del volto divino, fino a scegliere il vuoto. Ciò significa incapacità dell'arte di rappresentare il divino o l'incomprensibile e, in definitiva, un'accusa a questo mondo, un odio a ciò che questo è.

"Siamo molto lontani, quindi – ha scritto Alain Besançon, autore di analisi fra le più acute sull'arte sacra e la sua crisi – da un'arte sacra che insegni al fedele che la religione può dare origine a un equilibrio, a una pace, a una felicità e, nell'arte, a una celebrazione di ciò che esiste." Un'arte cioè che sappia superare le imperanti tendenze iconoclaste e nichiliste raffigurando invece volti umani a immagine del divino, volti che il fedele "riconosce" e ai quali può rivolgere una preghiera. Il Benedetto di Ducrot è chiaramente cristiano, autorevole, rimanda alla complessa intensità spirituale che sanno esprimere le raffigurazioni sacre della grande tradizione barocca.
Scegliere il barocco come riferimento significa scegliere doppiamente l'immagine, perché si tratta del periodo in cui la Chiesa cattolica – di fronte all'iconoclastia protestante ammantata di purezza antimaterialista – ribadisce l'importanza dell'incarnazione e, quindi, il diritto a rappresentare il sacro con immagini umane. Ducrot (giovane scultore che ha all'attivo l'altare del duomo di Norcia, un reliquiario di Filippo Neri per la chiesa romana di San Giovanni dei Fiorentini e una bella scultura in marmo di San Girolamo) invece di guardare al mondo delle gallerie d'arte contemporanea, ha preferito riscoprire un modo tradizionale di vivere il ruolo dell'artista, lavorando su richiesta dei commitenti (anche se vincolanti) e rivolgendosi ad un pubblico più vasto di quello dei critici, che non solo vuole vedere una bella statua ma vuole anche "usarla", com'è sempre accaduto per l'arte sacra.

Ducrot, che non si definisce credente ma ama misurarsi con l'intensa spiritualità dell'arte del passato, vince l'imbarazzo tutto moderno a rappresentare con volti umani e belli il sacro e vive la sua particolare ricerca di spiritualità all'interno dell'esperienza di scultore, che trasforma la materia dandole un'anima e un volto.

Lucetta Scaraffia, in "Luoghi dell'infinito", N° 80, anno VIII, dicembre 2004